C’eravamo tanto amati: il cielo di aprile
Il cielo d'aprile, quello che trasforma Reggio in un acquerello che rimbambisce di bellezza e speranze, di languori e gioie con l'estate ormai alle porte
Reggio è colpita dalla maledizione del cielo di aprile.
Ogni volta che questa maledetta primavera, giunta di soppiatto come le volpi, si manifesta, ai reggini viene il languore dell’abbandono, il desiderio del sogno di una notte di mezza estate, la sindrome della bellezza, e tutto diventa acquarello o, meglio, aquarela, come la canzone di Toquino che potrebbe benissimo essere nato da queste parti.
Il colore del cielo, se lo guardate bene, è più intenso, a volte circondato da batuffoli di nuvole bianche, altre volte minacciato dai cumulonembi grigi e scuri, ricacciati indietro dal sole riflesso sullo Stretto. La bellezza si spreca, quaggiù in fondo alla penisola.
I turisti guardano incantati le nostre meravigliose normalità, l’Etna laggiù si è tolta il velo bianco e sbuffa borbottando ormai da qualche milione di anni, esplodono i gelati, compaiono le scollature, e per le strade si riversa il popolo reggino: tutti vogliosi di sorrisi e carezze, di risate sguaiate e danze sfrenate, di mare e di sole, dimentichi dei mali della città, del mondo, della vita.
La colpa è del cielo di aprile, che sembra promettere miracoli che ovviamente non mantiene: si rinvia ogni cosa a dopo l’Estate, a dopo festa i maronna, adesso godiamoci questo azzurro da lapislazzuli, che al crepuscolo offre gratuitamente tramonti in cinemascope, passeggiando su questo dannato Lungomare, l’elogio della lentezza.
Una benedizione di colori e una trappola mortale, la ami e la odi questa Reggio di aprile, ma la bilancia poi pende sempre dalla parte dell’amore, perché passeggi e oltre a quella bellezza naturale trovi i tuoi ricordi, e i ricordi delle speranze, meravigliosi quando le hai trasformate in realtà, terrificanti quando sono state deluse.
Tremila anni di storia si riversano per strada, tutti presi dal nostro fenomenale agorazein di matrice ateniese, che Calcide – nostra madre putativa – poi è a un passo.
Questo chiacchiericcio ridondante, caustico, farsi i cazzi degli altri, e chidda è buttana e chiddu è curnutu, e chiddu puzza i fami e chiddu invece robba, questa – intollerabile a volte – mania di parlare e sparlare di tutti, che fa ridere, ma spesso ferisce, poi si allarga a macchia d’olio per tutto il mondo, anzi per tutta la galassia.
Perché, oltre l’Agorazein, sotto il cielo di aprile il reggino pure aumenta, menti a giunta, e chi giunta: qui ci sono persone che decollano, quello è stato a cena con Trump, l’altro era cumpari i Berlusconi, la signora ballava con Carla Fracci, l’altra ancora è terza cugina acquisita di Sofia Loren, e quello ha fatto diciannove volte il giro del mondo a barca a vela in solitaria, e la figlia di quell’altro ha sei lauree ma non trova lavoro perché ha un brutto carattere.
Tremila anni di storia, lineamenti di tremila popoli. Quanto a varietà di etnie, già di nostro siamo ben forniti; in più oggi, con questo fantastico mescolamento in atto, sotto il cielo di Reggio agisce il mondo, da Taiwan ad Abuja, da Addis Abeba a Bucarest, da Caracas a Chisinau a Tirana a Tangeri, ogni luogo del mondo è ormai qui.
Ed i turisti, che non siamo neanche abituati a vederli, – attenzione, attenzione, forse la voce si sta spargendo di quanto questo posto sia bello – da qualche anno arricchiscono ulteriormente di facce il passeggio: americani e argentini, giapponesi e tedeschi, inglesi e cecoslovacchi, fanno gruppo nella folla che in certi punti sembra di essere all’assemblea dell’ONU.
Così il cielo di aprile colpisce anche loro, colpisce tutti, le persone buone si rimbambiscono di bellezza, i cattivi invece, completamente insensibili ad un cielo o ad un mare, continuano i loro stolti e loschi affari ma tanto a Reggio si sa, chi storti non c’è rimedio.
Perché ad essere malvagi, in un luogo così, può sembrare facile ed anche bello, per chi è fondamentalmente stupido.
Con un briciolo d’intelligenza invece, si capisce che è sempre meglio amare Reggio e il mondo, nella sua totalità brutture comprese, e lasciarsi andare a quella magia, a quel languore, a quella spiazzante gioia di esistere, che il Cielo di aprile infonde alla città, trasformandoci in un acquarello che, col tempo, sparirà.