C’eravamo tanto amati: ridere senza malinconia

Nella Giornata Mondiale della Risata un tributo ai comici reggini, del passato e del presente, partendo da Leopoldo Trieste e arrivando a Ciccio Spinelli, senza dimenticare il Clan-Destino Cabaret

bambino che ride

A molti reggini piace ridere e a tantissimi piace far ridere. Umorismo caustico e spesso surreale, sfottò e zannelle, battute improvvise e trascinanti anche da chi meno te lo aspetti, sono elementi che fanno parte della nostra storia.

Quando Dionisio di Siracusa chiese la mano di una reggina, l’assemblea riunita gli rispose che potevano concedergli al massimo quella della figlia del boia.

Era una battuta, finita male, tra l’altro.

Ridere è il lato illuminato dell’esistenza, è la gioia che schizza verso il cielo come un geyser, sono occhi che s’illuminano e visi che si distendono; ridere significa lasciarsi andare, senza convenzioni, senza formalismi, senza pensare al domani.

A Reggio abbiamo avuto campioni di comicità.

Il più grande, occasionalmente prestato alla risata, è stato Leopoldo Trieste, nato e cresciuto in Via Galileo Galilei, superbo attore di respiro mondiale. Ha lavorato con Fellini, Germi, Zampa, Tornatore, è stato attore di cinema e di teatro, ha sempre fornito ai suoi personaggi l’unicità del genio. La sua interpretazione del calabrese avido nel Padrino II di Francis Ford Coppola è un folgorante esempio di bravura; nel ritmo drammatico del film, s’inserisce come momento di esilarante umorismo, che giustifica, sia pure in parte, il modus di don Vito Corleone.

A Leopoldo Trieste è stata intitolata una piazza, una specie di anfiteatro, dove prima sorgeva una delle tante “villette” cittadine. Era quella del Rione Ferrovieri, teatro della gioventù anni ’80, ed è emblematico come fior di comici cittadini provengano in realtà dalle periferie. Qualcosa vorrà dire.

Originario di Reggio era anche un altro campione di bravura e di sorrisi, quell’Oreste Lionello che è stato molto altro piuttosto che la sua indimenticabile imitazione di Andreotti al Bagaglino. Lionello era un maestro dello spettacolo, un fuoriclasse dell’umorismo inglese, e un artista completo, mai dimentico della nostra Reggio.

Quando Miseferi e Battaglia superarono il provino per la RAI, lo ritrovarono nella compagnia di Pingitore, ed immediatamente lui li prese sotto la sua ala protettiva fatta di sapienza artistica e di rigore professionale; il duo comico si affermò a livello nazionale, partecipando a innumerevoli show televisivi, a pièce teatrali, film, commedie e spettacoli di ogni tipo.

La malasorte si è portata via il caro Giacomo Battaglia, ma Gigi Miseferi continua a calcare i palcoscenici di mezza Italia, a lavorare in RAI, in film e in produzioni di ogni tipo.

Battaglia era del “Viale quinto”, Miseferi del rione Ferrovieri, da cui proviene anche Rocco Barbaro, cabarettista affermato, autore di sfolgoranti tormentoni che lo hanno reso famoso, in tutta Italia, da “me ne fotto” a “faccio quello che voglio”.

Interpreti dell’umorismo reggino, assai popolari fino a qualche anno addietro, sono stati “Mela e Tota”, Alfredo Auspici e Francesco Polimeni, coniatori di quel “Chisti simu” che sintetizza in un soffio l’appartenenza alla regginità; le loro scenette, trasmesse prima in radio poi nelle tv locali, fanno ancora sbellicare.

Indimenticato rimane Mimmo Raffa e il suo Blu Sky Cabaret, con cui generazioni di cittadini hanno riso a crepapelle. Raffa, autore anche di testi e regista, era un serissimo studioso e un grande professionista. Con la sua guida è emerso anche il talento attoriale di Piromalli, anch’egli nel gotha dei comici reggini.

Oggi Pasquale Caprì, Gennaro Calabrese e Santo Palumbo sono gli eredi della tradizione reggina dell’arte di far ridere, che è una delle pratiche meno facili al mondo. Ma loro ci riescono, lanciando anche, come i predecessori, modi di dire che fanno da tormentone tra i reggini.

Inoltre adesso l’umorismo si sviluppa anche nei social; in ciò è fortissimo Ciccio Spinelli, con il suo linguaggio italo-reggino e con delle battute e trovate originalissime, che interpreta al meglio il reggino scettico e sagace, ridicolizzando soprattutto i nostri mali, e trasformando i toni eroici in barzellette, col risultato di provocare raffiche di risate.

Ci sono acuti umoristici, ironici e anche satirici, sui social: da Lo Statale Jonico a Casa Suraci, a dimostrazione che la comicità entra in tutte le connessioni umane, dal principio dei secoli.

Ma non bisogna dimenticare gli antesignani di tutta questa allegra truppa di giullari. Nel primo lustro degli anni ’80 furoreggiava a Reggio un trio di matti, che si esibiva nelle piazze e ogni volta provocava dei veri traumi da risata: erano il Clan-Destino Cabaret, un terzetto di burloni composto da Mimmo Gangemi, che è stato l’artefice ed il motore del gruppo, Aldo Artuso, imitatore, Celentano redivivo e battutista sagace, e Totò Gullotta (sempre del Rione Ferrovieri), un comico “naturale”, che faceva (e fa) ridere in modo continuativo, anche se lo incontri dal fornaio, dal medico, a mare o in pizzeria, con una genialità ironica indistinguibile sia se recita che fuori scena.

Gullotta era un comico a tempo pieno. Uno dei pochi al mondo, oserei dire.

In tre si completavano: sono stati maestri della comicità demenziale, antesignani delle battute spiazzanti, creativi come pochi. Spaziavano a caso su tutti gli argomenti, non esisteva uno spettacolo uguale ad un altro, prendevano spunti dalla vita vissuta creando paradossi e follie che spesso lasciavano trasecolati gli spettatori.

Le loro esibizioni erano un tripudio di ragazzi, con i quali anche interagivano direttamente dal palco, sfornando umorismo a raffica, e terminavano gli spettacoli tra autentiche ovazioni.

Il Clan-Destino Cabaret è stato, in città, l’apice di un’epoca profondamente diversa; i tre avrebbero meritato palcoscenici più illustri, e una carriera più lunga. Ma poi, si sa, le cose vanno come devono andare.

Ridere fa bene alla salute. Reggio avrebbe bisogno di più comici e meno gente seriosa, comica a sua volta, ma inconsapevolmente.

La vita d’altronde è poco più di uno scherzo, e, con gli scherzi, partono le risate, in anticipo o in ritardo sui tempi, ma non conta.

Conta l’allegria, il buonumore e quel pizzico di sana e autentica pazzia che rendono gradevole l’esistenza e i ricordi, che non smettono mai di renderci felici.

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