C’eravamo tanto amati: troppo togo

Il tempo libero di una volta a Reggio tra tv, feste in casa, pizzerie (poche ma molto frequentate), traverse come centri di aggregazione e il calcio come religione

Tutto troppo togo.

Paradossalmente, pur lavorando di più e con tanti soldi in meno, il tempo libero da dedicare alle attività ricreative, alla cultura, agli affetti, era maggiore nel trentennio post-bellico rispetto al presente. E la socializzazione era ben altra cosa rispetto a quella virtuale dei social. Si viveva insieme, nel senso letterale della parola. Senza gli altri non ci si divertiva, non si cresceva, la vita era dannata.

La televisione, che dagli anni 80 in poi è entrata prepotentemente nelle nostre vite, era limitata ai due canali di stato che trasmettevano poche ore al giorno; in compenso si andava molto di più al cinema: a Reggio Calabria il principale era il Comunale (Il Teatro Cilea) con le sedie di legno e con temperature polari, ma c’era ampia scelta: cine-teatro Siracusa, Supercinema (Orchidea), Margherita, Moderno, Santa Caterina, Ariston, Dopolavoro, Pergola, qualche volta cinema all’aperto all’Arena Lido.

A Reggio si ballava: in origine furono le feste in casa, con le sedie disposte lungo le pareti e i “grandi” che sorvegliavano, soprattutto durante i “lenti”. Perché la musica era appunto divisa in due filoni: gli “Svelti” (sic) e, appunto “I Lenti”, che erano l’occasione quasi unica per i primi contatti tra ragazzi. Emozioni potenti, durante i Procol Harum o Frampton o i Bee Gees che, oltre a scuotere gli ombelichi, piazzavano ballad sensazionali e romantiche più di Byron (How deep is your love è il migliore lento della storia, per me), e dacci con Reality (il tempo delle mele), If you leave me now e cose così. Poi esplose la moda delle feste in terrazza: si piazzava un filo volante con delle lampadine (i più all’avanguardia usavano i faretti colorati), la grande novità fu il mixer che eliminava le pause tra un brano e l’altro, si beveva birra Peroni, Coca cola e gassosa e si mangiavano patatine Pai o dolci fatti in casa.

A metà dei settanta irruppe la Disco Music e fu rivoluzione. I vecchi “dancing” si adattarono alla svelta, e in città aprirono le prime vere due discoteche, lo “Scacco Matto” (poi Peek-a-Boo) e lo Splash Down (poi Blue-Inn, Panda ecc), in forte concorrenza; era tanto l’entusiasmo che aprivano anche la mattina (dalle dieci in poi) ed erano sempre sovraffollate. Però a mezzanotte si chiudeva, tranne il sabato quando la musica continuava fino all’una. D’Estate furoreggiavano il Papirus, il Limoneto, il Miramare, la Vela, il Petit Paris ed era festa: forza con Grace Jones, Earth Wind and Fire e tutta la Disco, ma anche i lenti, Please don’t go e vai col bacio volante, non ti merito e cose così.

Eravamo tutti fessi, languidi come omelette, ingenui come foche giovani, il mondo era una festa, la festa un ballo, il ballo un riassunto dell’amore eterno, ma che dura soltanto il tempo di un lento.

Le pizzerie erano poche, ma ampiamente frequentate. Così come le rivendite di panini, da non confondere con le paninoteche degli anni ’80. Il rapporto con il cibo era molto diverso, eravamo un popolo di eterni affamati e mangiare era anche una forma di gioia. Gelati e brioches, ghiaccioli e panini con pancetta e melanzane, e poi viennesi e pesche con crema e cannoli e arancini, i pomeriggi passavano così, tra una partita a pallone per strada, le cinquecento lire della nonna spese in cibarie varie, e poi andare a bere alle numerose fontanelle della città, oggi in gran parte scomparse.

I centri di aggregazione erano le traverse del Corso, che indicavano l’appartenenza all’una o l’altra “comitiva” e spesso erano anche indicative sulla colorazione politica del gruppo. Perché la politica, anche se a volte solo per moda, era presente in dosi massicce nella vita di ogni giorno. Non c’era giovane che non avesse una propria idea ispirata dalle icone del secolo breve: da sinistra a destra era un continuo fermento, una continua citazione di Mao e Marx, di Evola e Mussolini, persino di De Gasperi e Moro. C’erano i compagni, i camerati e i “biancofiore” (Piccoli, Storti e Malfatti, si ironizzava), si faceva a botte, ma poi era comune la promiscuità, soprattutto se c’era da divertirsi.

Non era tutto oro naturalmente, in quegli anni comparve la bestiaccia dell’eroina che si è portata via numerosi ragazzi e ne ha rovinati altrettanti. C’era la malavita organizzata, sempre presente a Reggio in ogni evento, si voglia o non si voglia. C’era disoccupazione, arretratezza culturale e quella greve ipocrisia sui temi sessuali che ancora, seppur in modo minore, persiste. I gay erano indicati a dito, e l’abito bianco delle spose nella fantasia bacata dei genitori stava ad indicare la presunta verginità della figlia. Ma donne illibate al matrimonio ne arrivavano ben poche, ieri come oggi. Con le mille cautele del caso si faceva tanto all’amore, negli androni delle terrazze, nelle auto con i finestrini foderati dai giornali, nelle spiagge deserte d’inverno, negli scantinati degli amici su materassi maleodoranti.

Lo sport si praticava ampiamente oltre ad essere seguito. Il calcio era una religione, ma era ben altro rispetto ad oggi. Le partite domenicali venivano trasmesse solo alla radio, lo sforzo di fantasia le rendeva epiche, e la schedina giocata il giorno prima era il sogno ad occhi aperti di tutti. Fare tredici rappresentava l’intervento della Divina Provvidenza post-Manzoniana. A metà dei settanta esplose il tennis, i ragazzi disegnavano con il gesso campetti sull’asfalto e si trasformavano in Panatta. A Santa Caterina infuriava la passione per il Basket, dal Rione Ferrovieri arrivarono i più forti tennisti calabresi, si giocava a ping-pong, il rugby conobbe una stagione d’oro e la palla ovale fu popolare quasi quanto il pallone di cuoio.

Reggio, distesa sullo Stretto, si adattava al futuro e covava speranze. Come qualcuno sostiene, persino l’aria era migliore. Saranno i vaneggiamenti dei nostalgici della gioventù, saranno le brutte notizie del presente che continuano a susseguirsi, ma ricordare come eravamo continua ad essere un vero modo per riassaporare quel candore e l’innocenza perduta dell’intera società.

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