C’eravamo tanto amati: un calabrese esemplare, il giudice Scopelliti

Il libro di Paolo Morando mette in evidenza le virtù di un calabrese esemplare, la cui voce si levò sempre come una luce nel buio

giudice scopelliti

L’ottimo libro-inchiesta di Paolo MorandoPrima di Piazza Fontana- La prova generale” – Editori Laterza – oltre a far luce su un periodo storico controverso mette particolarmente in evidenza le virtù di un calabrese esemplare: il giudice Antonino Scopelliti, martire della lotta antimafia ma soprattutto uomo di altissimi valori ed esempio etico e morale per tutti.

La narrazione di Morando, sintetica ma precisa, mai cedevole a complottismi e sempre suffragata da documenti e ricerche, è centrata sul processo agli anarchici accusati di aver posto – il 25 Aprile del 1969 – degli ordigni esplosivi alla Fiera Campionaria e all’Ufficio Cambi della Stazione Centrale di Milano.

A condurre le indagini il commissario Calabresi e i suoi uomini; nell’inchiesta spunteranno spesso i nomi di Pinelli, di Valpreda, di Feltrinelli. Un teorema che rivela un atteggiamento precostituito, orchestrato grazie alla testimonianza di una inaffidabile protagonista che verrà poi confutata proprio dall’energia dell’allora giovane Scopelliti, Pubblico Ministero del processo.

Il libro racconta di una Italia ancora in balia di servizi segreti molto autonomi, di personaggi ambigui nostalgici del ventennio e feroci anticomunisti, di giovani spiantati idealisti preda di febbri rivoluzionarie e prestati anche ad azioni violente, e mette in luce i prodromi di quella strategia della tensione che comincerà qualche mese dopo a Piazza Fontana.

Il PM Scopelliti, male accolto ad inizio processo dagli articoli dell’Unità, mette subito in evidenza il suo carattere serio e rispettoso delle regole, fin dall’inizio, dopo che la corte tenta la via del processo a porte chiuse: “Prendo la parola con profonda malinconia. Noi vogliamo che il pubblico sia presente e aderiamo all’ansia della difesa di far tutto in una casa di vetro…” chiarisce.

Il dibattimento comincia, tra emozioni forti, bugie, strepiti, rimbrotti, accuse reciproche, e sempre la voce di Scopelliti si leva come una luce nel buio. Buon senso, conoscenza delle regole, delle procedure, del diritto, rispetto per l’essere umano. Tutto nelle sue parole rivela una certa grandezza d’animo e la larghezza di vedute dell’uomo colto prestato alla legge.

Difende persino la principale accusatrice Rosemma Zublena, la cui follia viene svelata nel corso del processo, ma solo per valutarne l’inaffidabilità e smontare le tesi dell’accusa che ne avevano fatto ariete contro gli anarchici.

Le conclusioni di Scopelliti sono da scolpire in tavole di bronzo per eterna memoria. Nell’arringa finale dice: “Gli imputati ci hanno giustamente prospettato le loro ideologie. Consentite però che il Pubblico Ministero possa anche su questo dire qualcosa. Noi, come uomini, siamo contro la violenza e, come magistrati, siamo chiamati a far rispettare la legge. Abbiamo il dovere di intervenire quando la legge è violata. Crediamo nella democrazia, nella giustizia e nella libertà. La vera libertà civile: e quando parliamo di libertà non intendiamo riferirci solo al diritto di dire ciò che si sente e di sentire ciò che si vuole, convinti come siamo, che la miseria, la disoccupazione, l’ignoranza, l’insicurezza e la paura rendono l’uomo non libero, almeno quanto la servitù politica. La vera libertà civile non è libertà dalla legge, ma libertà nella legge. Fuori dalla legge non vi è libertà, né giustizia, ma licenza dei singoli e arbitrio del potere. Giustizia e libertà vivono e muoiono insieme.”

Le richieste di Scopelliti saranno accolte tutte. Tre condanne per i giovani scapestrati, che le mani in pasta in alcune esplosioni l’ebbero. Assoluzione per tutti gli altri. La montatura crolla, il buon senso prevale.

Nel libro poi Morando intervista, decenni dopo, alcuni tra i protagonisti di quella drammatica storia. E, tra gli imputati, più volte viene ribadito il massimo rispetto per il giudice, ed anche una grande riconoscenza.

“Il Giudice Scopelliti mi ha salvato la vita.” Dichiara Clara Mazzanti, innocente ed imputata al processo. Una frase più bella, per un uomo di legge, non può esserci.

Il 9 agosto del 1991 Antonino Scopelliti, 56 anni, solo e senza scorta, venne ucciso dalla violenza mafiosa. Non accettò mai compromessi con gli uomini del Male. Un esempio limpido, da seguire, imitare, e continuare a ricordare. Un esempio che dona lustro e onore ai calabresi, che devono esserne orgogliosi.

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