Colapesce: il mito che sorregge lo Stretto

Tra mito e mistero, la leggenda di Colapesce affonda le sue radici nell'area dello Stretto e la sua storia continua ad ispirare arte, letteratura e musica

leggenda colapesce guttuso

Tra le leggende più affascinanti del Sud, quella di Colapesce spicca per suggestione e antichità. Radicata nella tradizione orale delle popolazioni che abitano le sponde dello Stretto, la storia del ragazzo mezzo uomo e mezzo pesce continua a ispirare arte, letteratura e musica, rinnovandosi di generazione in generazione.

Una leggenda millenaria tra mito e mistero

Lo Stretto che separa la Sicilia dalla Calabria è da sempre teatro di racconti mitologici: dalla Fata Morgana alle insidiose Scilla e Cariddi, passando per le Sirene. Ma una delle più emblematiche è senza dubbio quella di Colapesce, figura metà uomo e metà pesce, simbolo di sacrificio e coraggio.

Le origini del mito risalgono al XII secolo, ma la sua popolarità si è tramandata nei secoli, arricchendosi di varianti regionali, dalla Sicilia a Napoli.

Mezzo uomo e mezzo pesce

Colapesce, noto anche come “Piscicola”, Nicola Pipe o Gialanti Pisci era un giovane dotato di straordinarie capacità natatorie. Conosceva i fondali marini come le sue tasche, tanto da guadagnarsi la fama di essere una creatura del mare. Affrontava tempeste, soccorreva i marinai e trascorreva così tanto tempo in acqua che la madre un giorno imprecando gli disse “Che tu ti possa trasformare in un pesce”. Qualcuno lassù ascoltò le sue parole e Cola diventò mezzo uomo e mezzo pesce e rimase per sempre in mare.

Il sacrificio di Colapesce: il fuoco e le lenticchie

Secondo la versione più nota, giunta anche a Italo Calvino che ne trascrisse una versione, un re – spesso identificato con Federico II – volle mettere alla prova le abilità del ragazzo. Dopo una serie di immersioni, durante le quali Cola recuperò oggetti preziosi gettati in mare, il re gli chiese di esplorare le profondità più estreme dello Stretto.

Colapesce accettò, ma al ritorno riferì una scoperta inquietante: la Sicilia poggiava su tre colonne, di cui una era già crollata, un’altra consumata e la terza stava bruciando. Il sovrano, incredulo, gli chiese un’ulteriore prova e gettò in mare la sua corona reale. Pur titubante, Cola decise di onorare la richiesta e chiese una torcia accesa e una manciata di lenticchie, così da lasciare un segno se non fosse riuscito a tornare.

Non risalì mai più.

Dopo giorni di attesa, affiorarono in superficie una torcia consumata e alcune lenticchie. Da allora si narra che Colapesce sia ancora laggiù, a reggere l’ultima colonna che sostiene la Sicilia, impedendole di sprofondare negli abissi.

Colapesce nell’arte: da Guttuso a Profazio

La potenza simbolica di questa leggenda ha ispirato numerosi artisti nel corso dei secoli.

colapesce soffitto teatro Vittorio EmanueleRenato Guttuso gli dedicò probabilmente quella che fu l’ultima sua grande opera. Risale infatti al 1985 la decorazione del soffitto del Teatro Vittorio Emanuele II di Messina: una superficie di 170 metri quadri, divisa in pannelli, in cui in mezzo ad un azzurro mare un giovane Colapesce si tuffa tra due costoni di roccia, sui quali sono adagiate le Sirene. Intorno a lui, volano i gabbiani e nuotano i pescispada.

Il cantautore calabrese Otello Profazio trasformò la storia di Colapesce in musica nell’album Storie e leggende del Sud del 1965.

«Nta lu fundu di lu mari,
Chi non pozzu cchiù tornari,
Vui pregati la Madonna,
Staju reggendo la colonna,

Su passati ormai tant’anni:

Colapisci è sempri ddhà!»

Queste le parole della celebre ballata. E ancora oggi si può immaginare Cola nelle profondità del mare, intento a sorreggere con tutte le sue forze lo Stretto, lottando contro le correnti e le forze oscure degli abissi.

Share via