“Uccelli o della Città sognata”, un volo teatrale tra archetipi, utopia e disillusione

Ieri sera all'Auditorium Zanotti Bianco la riscrittura contemporanea dell'opera di Aristofane a cura di Officine Jonike Arti

uccelli o della città sognata

Le gabbie che ci portiamo dentro non hanno bisogno di sbarre visibili per esistere: ci seguono ovunque andiamo, si insinuano nei pensieri, nelle scelte, nei desideri. Sono i limiti propri della condizione umana, spesso invisibili, ma profondamente radicati.
È da questa consapevolezza che prende forma in “Uccelli o della Città sognata”, una riscrittura contemporanea dell’opera “Gli Uccelli” di Aristofane, firmata da Maria Milasi, che si dimostra capace di restituire vitalità a un classico della commedia greca, rendendolo sorprendentemente attuale.

La riscrittura

La pièce, prodotta da Officine Jonike Arti, in scena ieri sera all’Auditorium Umberto Zanotti Bianco, si muove su un registro brillante e ironico, pur toccando temi profondi e universali.

A guidarci in questo viaggio sono due figure femminili iconiche: Thelma e Louise, qui rilette non solo come eroine ribelli, ma come simboli della ricerca di un altrove possibile. Dopo un incontro che ha del salvifico, le due protagoniste decidono di mettersi in cammino verso una “Città sognata”, un luogo immaginario e utopico dove sperano di poter vivere libere dalle catene imposte dalla società e dalle ferite del passato.
In scena, Maria Milasi interpreta Thelma, Kristina Mravcova veste i panni di Louise, Americo Melchionda dà corpo e voce all’Upupa, creatura alata guida, e Thekla De Marco è la Civetta, presenza silenziosa ma costante, custode sapiente e sentinella vigile della scena.

La regia è curata da Americo Melchionda, mentre le suggestive scenografie portano la firma di Francesca Nocito.

La drammaturgia

Nonostante l’intelaiatura drammaturgica sia densa e articolata, lo spettacolo si distingue per la vivacità della messa in scena: i movimenti, le trovate comiche, i dialoghi serrati e divertenti costruiscono un ritmo agile, che coinvolge e intrattiene senza mai appesantire.

Il tono brillante, tuttavia, si incrina progressivamente man mano che il sogno della città ideale si svela per quello che è: un’illusione.
L’incontro con l’Upupa sembra per un momento aprire le porte alla realizzazione del desiderio, e la promessa di una città sospesa tra cielo e terra pare finalmente a portata di mano. Ma il sogno si infrange contro l’irriducibile realtà dei limiti umani. La metafora della “città sognata” si trasforma allora in una riflessione amara sulla natura stessa dell’utopia: un ideale che affascina ma che, al contatto con la realtà, si sgretola.

Di fronte al finale non si possono che alzare le mani. Esso sancisce l’impossibilità di evadere davvero da se stessi, dai conflitti, dai desideri di dominio, dalla vanità, dalla guerra, da tutto ciò che ci rende, nel bene e nel male, umani.

I protagonisti, pur animati inizialmente da slanci di libertà e speranza, finiscono, a tratti, per essere risucchiati in dinamiche di potere e contraddizione, svelando quanto la costruzione di un mondo perfetto sia fragile e illusoria.

La drammaturgia coniuga ironia e pensiero critico, leggerezza scenica e profondità concettuale. Maria Milasi riesce, attraverso un linguaggio accessibile e moderno, a restituire tutta la potenza archetipica del testo di Aristofane, ricordandoci che certi nodi esistenziali attraversano il tempo, e che ogni sogno collettivo, per non morire, deve prima di tutto fare i conti con le ombre della propria umanità.
«Si tratta di uno spettacolo in trasformazione – ha spiegato Maria Milasi – che debutterà in anteprima nazionale ad agosto in un festival. Stiamo facendo numerose tappe però ci teniamo a sperimentare questa drammaturgia con il pubblico della nostra città».

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